Martedì 14 Marzo, Sala Conferenze parrocchia San Francesco, ore 18 " La Madonna della Crocetta per i Pellegrini di sempre"

Conferenza della Dott.ssa Laura Artioli
Lungo la via "Lodesana" presso un fossato detto "Venzola", era presente una cappella con una piccola croce di ferro. C'era un2immagine della Madonna , in carta stampata, sempre rinnovata dopo l'usura, finche Gaspare Omati, dopo una grazia ricevuta , la sostituì con una tavola di marmo. Correva l'anno 1695: sopra il trono di nubi, siede maestosa Maria che con il braccio sinistro tiene il bambino, con il destro regge uno scapolare. Sotto un globo di fiamme in cui sono tre anime addolorate......
 
La Madonna della Crocetta per i pellegrini e le pellegrine di sempre Il 14 marzo alle ore 18 nel salone san Francesco della nostra parrocchia si è tenuta
questa interessante conferenza ad opera della dottoressa Laura Artioli, ricercatrice di storie locali e studiosa del Medioevo. L’intervento, che rientra nelle iniziative comunali programmate per il mese di marzo, è stato una imperdibile occasione per conoscere risvolti inediti della nostra storia che si dipana in luoghi solcati dalla devozione popolare sotto lo sguardo materno e protettivo della Beata Vergine del Carmelo. La dottoressa Artioli ha precisato che i luoghi da sempre hanno ispirato l’uomo alla ricerca del trascendente costituendo la prima stratificazione di un orientamento al sacro che abita da sempre nel nostro cuore.
“Prima dell’oratorio con l’altare demolito nel 1883, prima dell’edicola a forma di conchiglia – detta nicchio - che conteneva la tavola di marmo di ottima fattura
donata dal nobile Gasparre Omati per grazia ricevuta, prima della maestà con dentro un’immagine di carta e sopra una piccola croce di ferro, prima, molto prima
di tutto questo doveva esserci un crocevia”. Proprio da questa ricostruita topografia è iniziata la chiara esposizione dell’oratrice.

Fuori dal Borgo di San Donnino, dalla parte di mezzogiorno fra un fosso, il fosso della Venzola, la via di Lodesana che prosegue per Salso e per i monti e chissà quali carraie che l’attraversavano, in mezzo ai campi che un tempo erano stati foreste di pianura vi era un crocevia.
Già di per sé luogo di scelta e ricerca di destinazione, per cui continuare il cammino era decisione di cui si sperava un felice esito.
Per questo il viaggio necessitava di alte protezioni celesti che scongiurassero al viandante insidie e pericoli. “Il mondo popolare è pieno di racconti sulle creature ingannevoli e mutanti che si incontrano ai quadrivi, un gatto nero, una capra dagli occhi di fuoco, una vecchia ricurva, uno zoppo, una giovane donna bella e indifesa che piange…. che si rivelano poi tutti travestimenti diabolici. Il diavolo dei crocicchi cerca di farci smarrire la retta via.”
Proprio in prossimità di questi luoghi si ergevano fin dall’antichità statue o erme, o semplici pietre dritte alle divinità a cui il viandante affidava la propria sorte.
Con il diffondersi del cristianesimo e con l’affermarsi dei pellegrinaggi, ai crocicchi venivano collocate delle croci che avevano la duplice funzione di indicare le
direzioni e di proteggere il pellegrino.
Dunque, “Crocetta” alludeva presumibilmente ad una croce in pietra o in metallo che segnalava il crocevia e indicava la direzione per proseguire il viaggio lungo i
percorsi della via Francigena. Ad essa è legato il culto della Beata Vergine del Carmelo che viene diffuso dalla Terra Santa in Europa.
Nel 1630, il campo vicino al nicchio, che ospitava un’immagine di carta a stampa della BV del Carmelo, viene destinato a luogo di sepoltura degli appestati (Campo dei morti).
Forse l’edicola era preesistente e aveva lo scopo di proteggere il viandante e di permettergli una breve sosta ristoratrice prima di riprendere il cammino. Allora,
mettersi in cammino era una vera sfida, carica di incognite e pericoli. Si partiva in piccoli gruppi o da soli con lo stretto necessario per affrontare i climi incerti,
affidandosi per il resto alla Provvidenza. Il rischio era concreto e alto, ma il bisogno di un riscatto della propria vita in termini di beatitudine eterna spingeva a buttarsi nell’impresa. In questo periodo, peraltro, il culto mariano si radica tra il popolo in maniera forte. Le devozioni mariane si moltiplicano. A metà del ‘200, la BV appare a un frate, Simone Stock, gli mostra lo scapolare e gli promette che chiunque lo indossi non finirà nel fuoco eterno. Nel corso di un’altra apparizione a papa Giovanni 22°, la Vergine promette che chi porterà lo scapolare e reciterà una serie di preghiere, verrà liberato dal Purgatorio il primo sabato dopo la morte. E’ per questo che lungo i crinali appenninici sorgono edicole, vengono murate sulle case sacre immagini della BV del Carmelo.
Il Concilio di Trento disciplinerà i pellegrinaggi ritenuti troppo rischiosi e per questo lungo gli assi principali iniziano a sorgere ospitali e santuari. Al lungo viaggio di una vita, si preferisce la processione. Così la piccola edicola in località Crocetta che nel 1695 era stata dotata di una pregevole opera marmorea raffigurante la BV del Carmelo, dono del nobile
Gasparre Omati, si trasforma, sulla spinta di pratiche devozioniali popolari sempre più frequenti, in oratorio, l’Oratorio della Crocetta per l’appunto.
Qui la Madonna in trono che abbraccia il bambino riversa sui devoti uno sguardo materno e sfuggente che obbliga al cammino, alla sequela come scelta di vita. Il vescovo destinerà la cura del luogo sacra e normerà il culto mariano elevando l’oratorio a cappella vescovile. E l’immagine miracolosa della Beata Vergine
accompagnerà gli uomini nello loro fatiche e vicissitudini. Poi le soppressioni napoleoniche decreteranno una sorta di oblio su questa sacra immagine e più ancora sulla venerazione che ispirava. Nel 1884 la lastra marmorea, finemente scolpita, verrà murata in una cappella della attuale chiesa cappuccina e la sua vista celata da un quadro, opera di san Felice da Cantalice. E’ ora riportata nuovamente alla luce grazie alla felice intuizione di padre Stefano. Lo sguardo di Maria, silenzioso e partecipe, ci ha sempre accompagnato, ci ha affiancato e sorretto in tanti momenti oscuri della storia. Ci ha testimoniato una presenza tenace nella sua fedeltà, umile nella sua materna bontà. Donna in cammino come le tante pellegrine che hanno calcati gli impervi e tortuosi sentieri per giungere alla sacra meta agognata. Donne coraggiose fino all’ardimento perché il viaggio era rischioso e molte sono sparite prima di giungere all’approdo finale. Eppure partivano, con bambini appresso, in piccoli gruppi femminili, al seguito di un uomo. Erano spinte dalla ricerca di senso, dal desiderio di redimere la propria vita, dal bisogno di eludere i confini ristretti di un’esistenza stabilita da altri, immobile e ripetitiva nei giorni e negli anni. Comunque partivano.Vedere e toccare le reliquie per sanare corpo e spirito spinge queste donne al pellegrinaggio. Due esempi illustri: la prima è sant’Elena, madre di Costantino, che nel IV secolo approda in Terrasanta dove, secondo la tradizione, ritrova la croce di Gesù e molte altre reliquie. La croce viene identificata perché guarisce al semplice contatto una donna moribonda; la seconda è Egeria, che era forse una monaca o forse una nobildonna, che sempre nel IV secolo compie un lunghissimo giro nei luoghi santi. Con Bibbia alla mano verifica la storicità di Gesù individuando , come lei stessa ci documenta, i luoghi in cui Cristo si è fermato. Ma per strada si mettevano soprattutto le donne semplici con bimbi al seguito o in procinto di partorire, per questo molti ospitali si dotano di apposite stanze riservate alle culle.
Da un capo all’altro della sola provincia di Reggio, fra Enza e Secchia, ce n’erano 31. Le notizie sono scarse e le poche si desumono da inventari e annotazioni tenuti dai rettori.
La prova che le donne andassero anche molto lontano, per esempio, ce la fornisce il 5 aprile 1414 una certa Margherita che serviva i viandanti accolti nell’ospitale reggiano di Santa Maria Nuova e chiede al rettore un’elemosina per andare a san Iacomo di Galizia. Nel 1444 lo stesso ospitale fa seppellire a proprie spese Isabeta de Alemania, una pellegrina tedesca morta a Reggio. In generale, i malviventi non aggredivano i pellegrini. Si sapeva che non portavano
nulla con sé. Quando accadeva, voleva dire che i tempi erano tanto grami da rendere allettante anche un mantello liso e un paio di scarpe consumate. Ma una
donna era sempre appetibile anche per altri motivi. Il 20 gennaio 1593 viene ritrovato in un fosso, nei campi presso Rubiera, il cadavere nudo di una donna, coperto solo da una povera mantelletta di quelle chen portano sulle spalle i viandanti. Lì vicino ci sono anche le sue patenti di viaggio fatte a pezzi, dalle quali si deduce che era una pellegrina francese diretta a Loreto. Nel 1644 invece il fattore compra a spese dell’ospitale le scarpe per una povera ragazza borgognona alla quale lì a Rubiera erano morti il padre e la madre. Nel 1715 i registri riportano con evidente soddisfazione la nascita di un bambino dentro l’ospitale, battezzato con tutti i nomi dei suoi santi patroni e con quello del rettore, Niccolò. Frammenti di vita che ci rivelano la forza sorprendente di una fede semplice, umile ma tenace. Forse, lo sguardo apparentemente sfuggente della nostra Madonna della Misericordia sta seguendo proprio loro accompagnandole con la sua materna protezione, ben conoscendo l’abisso in cui può precipitare il cuore umano.
 
a cura di Federica Davighi
 
 
 

Orario Sante Messe

Feriali: 7.00; 18.30

Festivo: 8.00; 9.3011.00; 18.30

Il lunedì la Chiesa è chiusa

 

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